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Mag

Essere innovativi, definire una rivoluzione

Scrivere un articolo sul tema dell’innovazione è una grande sfida. Trattare un tema così attuale in un blog è senza dubbio un peccato di presunzione, ma credo, senza timore di sbagliare, che non esisterebbe nemmeno il termine innovazione se di tanto in tanto non ci fosse qualche presuntuoso che osa un po’ di più per esprimere delle idee. Proverò a descrivere il risultato delle mie riflessioni in virtù del fatto che l’essenza stessa dell’innovazione sia l’espressione libera delle idee.

“Un passo avanti”. Questa è una sintesi di ciò che il termine richiama nell’immaginario collettivo. E’ così? Certo, ma la metafora calza solo parzialmente. Richiama il concetto del percorso evolutivo. Ma fare un passo avanti presuppone avere una strada definita, un cammino lungo il quale ci si sposta per raggiungere un obiettivo, uno scopo. Per avanzare lungo una strada ci si scontra con la necessità di risolvere problemi e situazioni. La ricerca di soluzioni porta le risposte adeguate. La ricerca è parte fondamentale dell’innovazione, ma coincide con l’innovazione stessa? L’avanzamento del progresso tecnologico è il risultato più evidente della ricerca e ci ha portato numerosi oggetti che concentrano dispositivi elettronici miniaturizzati o la possibilità di realizzare enormi progetti. Ma cosa ne sarebbe di uno smartphone se lo usassimo per rompere le noci di cocco? L’innovazione non risiede nell’invenzione in sé, ma è da cercare nel suo impiego. Spesso mi capita di pensare alla storia di Apple e dei suoi primi passi. Sono in pochi a sapere che il primo Apple One fu progettato e costruito con il fondamentale contributo di Steve Wozniak, socio fondatore e amico del celeberrimo Steve Jobs. Questo perché l’invenzione è di gran lunga seconda all’innovazione. Fu infatti l’applicazione delle tecnologie proposta da Jobs a fare in modo che il PC fosse usato da tutti e, anzi, rivoluzionasse il modo di vivere di tutti. Steve Wozniak è un genio, un inventore, ma fu Steve Jobs ad innovare il mondo, anzi a rivoluzionarlo. Essere innovativi è bello, ma non è il massimo. Il massimo è rivoluzionare il modo di fare una cosa.

Alla ricerca è delegato l’arduo compito di offrire soluzioni a problematiche di cui esiste un manifesto bisogno, o delineare e risolvere bisogni futuri. Ma non penso che questo sia propriamente “innovazione”. E’ mia convinzione che la vera forza dell’innovazione non stia nell’offrire qualcosa di cui la gente abbia o avrà bisogno, ma nel proporre un nuovo modo di vedere e fare le cose in modo che la gente di domani non ne possa più fare a meno. Non è la tecnologia a fare l’innovazione, quindi, ma ancora è il cambiamento che essa è in grado di generare nel modo in cui si fanno le cose. La tecnologia non è mai fine a sé stessa, ma una sua accettazione passiva porta con se rischi che l’innovazione supera, come ad esempio il rischio dell’omologazione che appiattisce la varietà. La tecnologia è strumentale e così non va assunta senza consapevolezza.

In pratica, come spesso andrebbe fatto, occorre avere un approccio attento e non estremo alle cose per poterne esprimere il massimo. La tecnologia e la ricerca sono la base di ogni miglioramento, ma concentrarsi esclusivamente su questo non è sufficiente e, anzi, a volte è fuorviante. A volte, usare bene gli strumenti che si hanno a disposizione è meglio che inventarne di nuovi, ed in questi casi essere innovativi significa dare al presente la possibilità di diventare futuro.

Alcuni dicono che l’innovazione è sostenuta dalla spinta competitiva. Credo sia vero, ma solo nella misura in cui la competizione si svolga sul piano qualitativo. Va precisato perché laddove quantità e prezzo indeboliscono il lavoro di qualità non è possibile ottenere risultati apprezzabili in termini di innovazione. Competere sul piano qualitativo e vincere è il vero goal di un azienda. Siamo davvero disposti a scendere in campo su questo piano di battaglia?

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